IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento  di  sorveglianza
 relativo  alla  concessione  di  differimento pena all'udienza del 22
 dicembre 1992, premesso che il detenuto  Alfeo  Giorgio,  nato  il  5
 gennaio  1963  a  Verona,  residente  a  Chatillon, via Martiri della
 Liberta' n. 47, in espiazione pene mesi 10 di reclusione  inflittegli
 con  sentenza  13  aprile 1992 del pretore di Aosta e 3 febbraio 1992
 corte di appello di Torino difeso dall'avv. di uff. Foti del Foro  di
 Torino;
    Visto il parere favorevole del p.g.;
    Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato;
    Verificata,  preliminarmente,  la  regolarita' delle comunicazioni
 relative  ai  prescritti   avvisi   al   rappresentante   del   p.m.,
 all'interessato ed al difensore;
    Considerate  le  risultanze  delle documentazioni acquisite, delle
 investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione e della
 discussione di cui a separato processo verbale;
                             O S S E R V A
    Rilevato che Alfeo Giorgio ha  avanzato  istanza  di  differimento
 dell'esecuzione della pena, rientrando nella previsione dell'art. 146
 del c.p. cosi' come modificato dal recente d.l. 12 novembre 1992, n.
 431;
      che  tale  intervento  legislativo  ha  ampliato  l'ambito della
 disciplina  del  rinvio  obbligatorio  dell'esecuzione  della   pena,
 inserendovi il seguente principio: "Nel primo comma dell'art. 146 del
 codice  penale  e'  aggiunto il seguente numero: La esecuzione di una
 pena, che non sia pecuniaria, e' differita: se deve  aver  luogo  nei
 confronti  di  persona  affetta  da  infezione  da  HIV  nei  casi di
 incompatibilita' con  lo  stato  di  detenzione  ai  sensi  dell'art.
 286-bis, primo comma, del codice di procedura penale";
     che  il sopracitato art. 286- bis del c.p.p., definisce in questi
 termini  i  casi  di  incompatibilita'  con  lo  status  detentionis:
 "L'incompatibilita'  sussiste, ed e' dichiarata dal giudice, nei casi
 di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria";
    Rilevato che ne risulta sconvolto il preesistente  assetto  voluto
 dal  legislatore del 1930 che, mediante il ricorso allo strumento del
 "rinvio facoltativo"  (art.  147  del  c.p.),  consentiva  all'organo
 giurisdizionale  competente  di valutare caso per caso, eventualmente
 con il supporto di idonea perizia medica, la concreta  necessita'  di
 differire  l'esecuzione  della sanzione penale, evitando di incorrere
 in apodittiche generalizzazioni.
    Tale sistema normativo, che tutelava  lo  specifico  interesse  di
 tutti i malati (ivi compresi gli affetti da H.I.V.) che si trovassero
 "in  condizioni  di  grave  infermita'  fisica"  (art. 147, n. 2, del
 c.p.), appariva conforme alla lettera ed  allo  spirito  del  dettato
 costituzionale,  come  riaffermato  dalla  Corte  di cassazione nella
 pronuncia n. 2136 del 7 maggio 1991.
    Integrale rispetto trovata il principio secondo cui "La Repubblica
 riconosce e  garantisce  i  diritti  inviolabili  dell'uomo"  di  cui
 all'art.  2  della  Carta  costituzionale,  assicurando  comunque una
 generale tutela penale ai soggetti titolari degli  interessi  lesi  o
 minacciati dalle fattispecie criminose commesse - o commissibili - da
 autori  trovantesi  nelle condizioni enumerate nell'art. 286- bis del
 c.p.p., esigenza che poteva venir variamente compressa o  addirittura
 sacrificata  solo allorquando collidesse con diversi principi di pari
 rilevanza e dignita', di volta in volta individuati in concreto dagli
 organi giurisdizionali.
    Piena osservanza si garantiva inoltre al principio di  uguaglianza
 di  tutti  i  cittadini  di  fronte  alla  legge senza distinzione di
 condizioni personali (art. 3), e cio' sotto un triplice profilo:
       A) ribadendo  come  le  pene  inflitte  dai  competenti  organi
 giurisdizionali debbano essere eseguite nei confronti di tutti coloro
 che  le hanno riportate, con esclusione di categorie di "intoccabili"
 aprioristicamente stabilite;
       B) evitando differenziazioni tra i soggetti affetti da HIV  e/o
 AIDS  conclamata  e coloro che sono preda di infezioni e malattie dal
 medesimo esito infausto  ai  quali,  pur  in  presenza  degli  stessi
 presupposti anche in merito ai tempi di evoluzione della patologia in
 atto, non e' estesa questa piu' favorevole disciplina;
       C)  salvaguardando  una uniformita' di trattamento tra titolare
 dell'interesse protetto e  autore  del  fatto  di  reato  affetto  da
 infezione da HIV con la mancata previsione di un astratto "diniego di
 tutela"  del primo causa le particolari condizioni del secondo, al di
 fuori di uno specifico accertamento da parte  dell'autorita'  a  cio'
 preposta.
    Neppure  potevano dirsi violati i basilari principi secondo cui le
 pene non possono consistere  in  trattamenti  contrari  al  senso  di
 umanita'   (art.   27)   e  la  salute  e'  un  diritto  fondamentale
 dell'individuo (art. 32) dal momento che, qualora il soggetto potesse
 giovarsi,  in  liberta',  di  cure  e  terapie   indispensabili   non
 praticabili  in  stato  di  detenzione - neppure mediante ricovero in
 ospedali civili od in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art.
 11 o.p. - ovvero, ancora, a cagione della gravita' delle  condizioni,
 l'espiazione  della  pena si appalesasse in contrasto con il senso di
 umanita',  soccorreva  sempre  l'istituto   del   c.d.   differimento
 facoltativo   (art.   147   del   c.p.)  che  permetteva  di  ovviare
 tempestivamente a tali situazioni abnormi;
    Rilevato che l'innovazione legislativa del d.l. 12 novembre 1992,
 n.  431,  inserendo  questa  nuova  ed  autonoma  ipotesi  di  rinvio
 obbligatorio  in  aggiunta  alla  originaria previsione limitata alla
 donna incinta o che abbia partorito da meno di sei mesi (art. 146 del
 c.p. nn. 1 e  2),  ha  di  fatto  mescolato  situazioni  radicalmente
 distanti  fra  loro,  l'una  connotata  da  una  rinuncia  definitiva
 all'applicazione della sanzione  penale,  le  altre  incidenti  sulla
 pretesa  punitiva  solo  in  termini  di  momentanea sospensione, per
 fatti, quali la gravidanza o la nascita di un bambino da meno di  sei
 mesi, che non sono a tutta evidenza "una grave infermita' fisica";
    Rilevato  che  e'  stata in tal modo introdotta per i soggetti che
 versano nelle condizioni di cui all'art. 286-bis,  primo  comma,  del
 c.p.p.  (in  quanto  richiamato  dall'art.  146,  n. 3, del c.p.) una
 ingiustificata - a parere di questo tribunale - clausola di immunita'
 penale, una sorta di astratta previsione di non  assoggettabilita'  a
 sanzione,   spogliando  una  specifica  categoria  di  persone  della
 soggettivita' attiva penale;
    Rilevato che l'attuale sistema normativo sembra presentare aspetti
 di incostituzionalita', contrariamente a quanto sopraevidenziato  con
 riferimento alla pregressa disciplina.
    Il   dibattuto  d.l.  n.  431/1992  pare  innanzitutto  porsi  in
 contrasto con l'art. 2 della Costituzione, laddove viene  a  smentire
 l'assunto   di  una  generalizzata  tutela  dei  diritti  inviolabili
 dell'uomo,  quantomeno  nei  confronti  di  coloro  i  cui  interessi
 risultino  aggrediti  da  chi  trovasi nelle condizioni descritte dal
 decreto stesso, che si vedono privati di efficace  tutela  penale  in
 assenza   dello   strumento  che  ne  assicura  la  necessaria  forza
 intimidatrice.
    Piu' evidente si  manifesta  il  contrasto  con  il  principio  di
 uguaglianza sancito dall'art. 3 della nostra Carta costituzionale.
    Irragionevole   appare  la  discriminazione  dei  malati  "comuni"
 rispetto agli affetti da HIV (in particolare ove si rifletta  che  la
 scienza   medica   riscontra   i   medesimi  caratteri  di  gravita',
 irreversibilita' ed ingravescenza - tipici della patologia da  HIV  -
 anche  nella  maggior  parte delle malattie di tipo neoplastico ed in
 alcune forme patologiche di tipo cronico, come la malattia dabetica).
    Del pari ingiustificata la creazione di una categoria di individui
 sottratta (nel senso sopravisto) al generale assioma per cui le  pene
 inflitte  vanno  eseguite  nei confronti di tutti coloro che le hanno
 riportate, nonche' il fatto che nella  comparazione  fra  l'interesse
 del  soggetto leso e quello dell'autore di reato affetto da HIV debba
 sempre  soggiacere  il   primo,   indipendentemente   da   una   piu'
 approfindita analisi del caso di specie;
    Rilevato  che  il nuovo orientamento normativo non puo' dirsi piu'
 aderente al dato costituzionale neppure sotto il profilo del rispetto
 degli artt. 27, terzo comma, e 32, primo comma, poiche' l'esito della
 esperienza medico-scientifica in materia rivela come  l'infezione  da
 HIV   presenti   caratteri  di  estrema  dinamicita'  e  varieta'  di
 situazioni, in rapporto  alle  quali  va  concretamente  provato  che
 l'applicazione  della pena leda il fondamentale diritto alla salute o
 si  risolva  in  un  trattamento  contrario  al  senso  di   umanita'
 (prescindendo  dai  casi  in  cui  la  cessazione  delle cure e della
 assistenza  comunque  assicurate  dalle   strutture   carcerarie   si
 tradurra' in danno di quei soggetti che si vogliono invece favorire).
    Con ben diversa puntualita' la problematica sovraesposta era stata
 recepita   nella  circolare  3370/5770  del  Ministero  di  grazia  e
 giustizia del 25 luglio 1991 - avente appunto per oggetto "I detenuti
 affetti da  sindrome  da  HIV"  -  dove,  dato  atto  della  notevole
 variabilita' ed incostanza del quadro clinico delle infezioni da HIV,
 si  rimandava  al  giudizio  degli  organi  competenti, investiti dal
 "difficile compito di valutare,  nei  singoli  casi,  la  sussistenza
 delle condizioni che consentono il permanere del soggetto in ambiente
 carcerario  o che ne consigliano il trasferimento presso il domicilio
 o in una struttura esterna";
    Rilevato  pertanto  che  la   invocata   disciplina   del   rinvio
 obbligatorio  della pena per gli affetti da HIV e/o AIDS conclamata -
 come modificata  a  seguito  dell'entrata  in  vigore  del  d.l.  12
 novembre  1992, n. 431 - appare inficiata dal vizio di illegittimita'
 costituzionale;